Il mio primo ricordo di Luigi Biscardi risale agli inizi degli anni ’70. Un ricordo opaco, incerto, nebbioso perché è il ricordo di un bambino che non aveva ancora compiuto dieci anni. Il ricordo del posto è preciso: la sezione del Partito Socialista Italiano a Venafro, lungo corso Campano, nei locali che oggi ospitano una società immobiliare. Una sezione che frequentavo, nonostante la tenera età, per due motivi precisi: perché il segretario della sezione era mio padre e spesso mi portava con lui quando c’erano le riunioni; la seconda era la presenza di un bigliardino con cui si poteva giocare gratuitamente. Forse poi c’era anche un motivo allora inconscio: anche se bambino, mi piaceva ascoltare quello che dicevano, le idee di un socialismo che non capivo ancora bene cosa fosse ma mi sembrava una cosa giusta anche perché quelli che frequentavano quella sezione veneravano come delle icone medievali personaggi come Sandro Pertini, Pietro Nenni o Riccardo Lombardi, che mi sembravano giganti. Craxi era ancora un giovane dirigente di provincia. Per la mia frequentazione mi facevano anche dei regali, come una serie di francobolli della FGSI, la Federazione Giovanile del PSI, che venivano utilizzati come materiale di propaganda e che ancora conservo. Ricordo che mi sentivo protagonista quando, alle feste dell’Avanti, mi facevano liberare il criceto che finiva nella casella che dava diritto alla vincita di un coniglio in un gioco allora molto popolare oppure quando mio padre mi faceva inserire il 45 giri dell’Internazionale nel giradischi che aveva sistemato sul cruscotto della sua Fiat Multipla collegato alla batteria e ad un altoparlante quando andava in giro, dopo aver chiuso il suo negozio, per annunciare i comizi dei vari esponenti socialisti dell’epoca (ricordo Attilio Peluso e Domenico Cotugno). Biscardi venne probabilmente in prossimità di un appuntamento elettorale. Era all’epoca consigliere regionale, rappresentante del PSI insieme a Gabriele Veneziale nel primo parlamentino regionale. Ricordo solo che, mentre parlava, tutti erano in silenzio e ricordo che dopo tutti rimasero senza parole. Ciò che disse non lo ricordo, sono passati poi venti anni e più da quel giorno. Da bambino divenni adolescente e poi adulto. Mio padre, con l’avvento di Craxi alla fine degli anni ’70, abbandonò l’impegno politico nel PSI. Il nuovo corso non gli piaceva. Penso sia rimasto socialista per il resto della sua vita, di quel socialismo che si respirava in quella sezione quasi mezzo secolo fa. Lo stesso socialismo che aveva rappresentato il punto di riferimento per la formazione politica e culturale di Luigi Biscardi. Non frequentavo più le sezioni di partito ma da ragazzo avevo cominciato a frequentare le redazioni dei giornali e dei telegiornali. E in questa mia “nuova” veste incrociai di nuovo Luigi Biscardi. Era la prima metà degli anni ’90 e lui nel frattempo era diventato senatore. Non un senatore qualsiasi, ma uno dei punti di riferimento a Palazzo Madama in tema di scuola e di sistema di istruzione, vicepresidente (ma presidente di fatto) per molti anni della Commissione cultura e istruzione del Senato. Fu un incontro per motivi professionali trasformatosi poi in un rapporto particolare e, dal mio punto di vista, speciale. Fu facile per me coltivare quello spontaneo senso di ammirazione per un uomo di cultura, un intellettuale di sinistra così lontano da quel radicalismo sterile di certa sinistra eppure così radicalmente inflessibile sui valori e sui principi intorno ai quali la sinistra storica ha costruito il suo percorso che nel secolo scorso le ha consentito di diventare una forza politica fondamentale per le dinamiche democratiche del nostro paese. Posso dire che anche da parte sua, del senatore, ci fu subito una aperta simpatia per me, un affetto che mi lusingava e talvolta mi imbarazzava. Per anni è stato per me un punto di riferimento politico e culturale, un consigliere prezioso. Preziosissimi furono i suoi consigli quando mi cimentai nel concorso pubblico, poi vinto, per entrare nella scuola. E così per le mie scelte politiche e professionali. Preziose le sue “dritte” per la pubblicazione nel 2003 del mio primo libro, quello su Leopoldo Pilla. A lui chiesi di scriverne la prefazione che ha impreziosito quel volume certificando la circostanza che la stima era ricambiata. Di quella prefazione feci stampare alcune decine di copie a parte perché rappresentava (e rappresenta) un saggio di grande spessore sul valore non solo del Risorgimento e, quindi, di un periodo storico fondamentale per la nostra storia, ma anche della storiografia e del contesto storiografico. E fu per me bellissimo averlo tra i relatori alla presentazione del volume al castello di Venafro insieme al compianto Giorgio Palmieri e al preside della facoltà di Lettere dell’Università di Cassino prof. Angelo Fabrizi. Quando diedi alle stampe il mensile “Altromolise magazine” gli chiesi di tenere una rubrica fissa, proposta che dopo tante insistenze accettò. La rubrica si chiamava “L’osservatorio” e tra il 2003 e il 2006 uscirono a sua firma ventidue articoli sarebbero da allegare a questo ricordo per rendergli omaggio e per fare in modo che leggendoli oggi resti una parte del suo pensiero ma anche per fare in modo che emerga il suo spessore, la sua capacità di analisi e la capacità di guardare oltre. Nel 2005 mi chiese di “ricambiargli” il “favore”. Volle che fossi io il direttore responsabile della rivista culturale “Annali cuochiani”, rivista monografica dedicata interamente alla figura di Vincenzo Cuoco, che insieme alla moglie Sasà e più della politica fu il suo vero grande amore. Era già uscito dalla scena politica, con dignità come solo lui sapeva fare. Erano arrivati i “rampanti”, anche nel centrosinistra, i teorici del compromesso, della vittoria a tutti costi, della corsa al potere anche rinnegando i valori autentici della sinistra, quelli che male avevano studiato Machiavelli e si ricordavano solo che “il fine giustifica i mezzi” e forse era quella l’unica frase che avevano conosciuto di quel libro. La meritocrazia, che pure il centrosinistra aveva sempre praticato fino a quel momento (ci fu un’epoca in cui il centrosinistra molisano in parlamento era rappresentato da Luigi Biscardi e Federico Orlando…), aveva ceduto il passo al rampatismo: la coerenza, l’onestà, le capacità e le competenze, insomma quegli elementi che misurano la qualità del personale politico diventarono questioni secondarie. Biscardi, coerentemente, continuò a guardare da lontano questa degenerazione della politica e del centrosinistra, i cui mortali effetti paghiamo oggi più di allora. Mai ha rinunciato a dire come la pensava anche su questo, con eleganza ed efficacia, e quegli articoli di “Altromolise magazine” ne sono la testimonianza. Per me, personalmente, è stato un esempio di coerenza, di onestà, portatore fino in fondo dei veri valori della sinistra in cui ancora oggi mi riconosco. Con lui scompare l’ultimo grande rappresentante di una stagione politica che non c’è più e che purtroppo difficilmente ritroveremo. Per me scompare una persona a cui devo tanto, importante nella mia maturazione culturale, politica e professionale. Mi diceva sempre che la cultura, l’istruzione, la conoscenza sono le sole armi che si possono usare sempre contro l’autoritarismo, contro le ingiustizie, contro le destre. Tra poco andrò a salutarlo per l’ultima volta. E ci andrò con la morte nel cuore e con una grande tristezza nell’anima…
Antonio Sorbo